Non è la donna per me 6° puntata di Piazza Castello


Finalmente è la vigilia.

Chiamo Silvia e mi accordo per darle una mano con i preparativi.

Arrivata da lei, la prima domanda è: “allora Bambola, stasera ci presenterai Anita?”

Un “no” secco è la mia risposta, senza aggiungere altro.

Silvia smette di piegare i tovaglioli ad alberello e seria domanda: “Gaia cosa è successo?”

Sedo il magone con queste parole: “non credo sia la donna per me e non ho voglia di parlarne. Voglio godermi la serata e domani la mia famiglia”.

Silvia basita mi domanda: “ma tu stai bene?”

Ed io: “sì, Silvia. Sto bene e ti voglio bene”, mi abbraccia.

Io e Silvia, nel suo bagno, ci prepariamo per la serata, la sua allegria è contagiosa.

Adoro questa donna, ha combattuto il cancro e nel mentre faceva le chemio si è separata dal marito. Scoprì che lui la tradiva da anni con una ragazza più giovane, anche mentre lei era nel letto d’ospedale.

La tavola è apparecchiata. Come ogni anno sulle sedie sono appoggiati un cappello rosso da Babbo Natale e un cerchietto con le corna di renna.

La regola prevede che se negli ultimi dodici mesi sei stata tradita, devi indossare il cerchietto, altrimenti metti il cappello rosso.

Anche quest’anno ci sono parecchie renne!

Alla serata è stata invitata Serena, una collega di Silvia che pochi giorni fa ha fatto coming out in ufficio.

Sembra timida, fatica un po’ ad inserirsi, allora mi avvicino a lei e cerco di renderla partecipe portandole da bere e invitandola a sedersi vicino a me.

Entrambe indossiamo il cappello da Babbo Natale e guardandoci scoppiamo a ridere. Serena mi guarda e con timidezza dice: “però se fossi venuta a questa cena un paio d’anni fa, sarei stata una renna reale”.

Sorrido dicendole “un brindisi tra ex renne reali allora”.

La serata inizia nel migliore dei modi, ovvero con un brindisi ed un sorriso.

Il cibo è favoloso e tra una portata e l’altra ci scambiamo qualche regalino. La seconda regola di questa festa è di portare qualcosa da mangiare e un regalo che non superi il costo di dieci euro.

Silvia numera i pacchetti e poi fa pescare ad ognuna un biglietto numerato che corrisponde ad un regalo.

Serena è la prima a pescare il numero e Silvia le consegna il regalo.

Alla new entry tremano le mani per la timidezza e per l’imbarazzo di avere tutti gli occhi puntati addosso.

Scarta il pacchetto rompendo delicatamente la carta, apre la scatola e sfila una sciarpa dai colori improbabili.

Ridiamo tutte e tutte guardiamo Sabrina. Ogni anno è la solita sciarpa acquistata alla Fiera dell’Artigianato.

“Sabrina ci hai stupite anche quest’anno! E noi che davamo l’anno scorso come l’ultimo dedicato alle sciarpe peruviane e invece ci hai spiazzate”.

Sabrina ridendo mi controbatte: “cercavo un cappello, ma non ne trovavo di abbastanza colorati. Sarà per l’anno prossimo” e tutte ridono.

Tutte tranne me. La parola “cappello” mi fa pensare ad Anita e a quanto mi manca.

Una morsa al cuore e la mente va alle sue labbra.

Lo sguardo è incantato sul mio bicchiere, non sento più le voci delle amiche, d’improvviso mi sento sola nella stanza.

Sto guardandomi dall’alto della stanza e vedo fingere me stessa. Tutto sta andando bene, in fondo lei, Anita, non è importante. Non ha lasciato nulla dentro di me. Era solo un mucchio di probabili bugie.

Sono una pessima attrice verso me stessa e non riesco neppure a mentirmi decentemente.

Mi manca! Questa è la pura e semplice verità.

“Vieni anche tu a darci una mano in cucina?”, la domanda di Serena mi sveglia dai miei pensieri e incerta rispondo con un sì.

Ultimo brindisi, baci e abbracci d’auguri.

Le amiche se ne vanno e restiamo in tre, io, Silvia e Serena.

Non proprio energiche ci accingiamo a sistemare un pochino casa, ma Silvia insiste affinché si lasci tutto così, ci penserà lei l’indomani.

“Andate a dormire belle donzelle, ci vediamo il ventisei” e ridendo Silvia ci chiude la porta di casa in faccia.

“Dai Gaia, ti do uno strappo verso casa tua” mi propone Serena, io insisto per andare a piedi.

Serena prosegue: “è troppo tardi, vado in ansia a lasciarti da sola”. A quel punto accetto e salgo in auto. In meno di cinque minuti siamo da me.

“Abito qui. Hai visto che sarei potuta venire anche a piedi senza rischiare la vita?” Serena mi spiazza con una frase che non mi aspetto: “ho visto, ma avevo piacere di trascorrere un po’ di tempo in tua compagnia”.

E adesso?

Ho già la mano sulla maniglia della portiera, non so cosa dire, mi sento imbarazzata, ma con piglio ironico le rispondo: “sei ubriaca! Lascia perdere, sono un casino”.

Serena ridendo mi saluta: “mi piacciono i casini. Buon Natale Gaia”. Non mi resta che farle gli auguri e scendere.

Salgo in casa un po’ titubante, ma anche compiaciuta. A chi non fa piacere ricevere attenzioni?

La mente inizia a viaggiare tra un pensiero e l’altro, anche se a dir la verità il mio pensiero è uno solo: Anita.

Devo assolutamente dormire, domani ho il pranzo di Natale a casa dei miei genitori con l’intero parentado.

25.12 Pranzo di Natale.

I miei genitori sanno della mia omosessualità e non hanno mai fatto una piega.

A qualche parente sembra dare noia questa nostra armonia e quindi non manca chi pungola con domande banali tipo “non hai il fidanzato?”, per poi proseguire con la domanda “tu non ti sposi?” e questa volta, caro zio stronzo, ho la risposta che aspettavo da quarant’anni: “tranquillo zio che appena troverò la donna giusta mi unirò civilmente con lei e tu sarai invitato! Donna… unione civile, ti dice nulla zio?” Finalmente tace e mangia il roast beef.

Mia mamma ride. Lei è sempre stata dalla mia parte e sentirla vicino è una gran fortuna.

Mio papà ha impiegato un pochino ad accettare la cosa.

Sarà che nella sua testa mi vedeva sposata col figlio del loro vicino di casa, un vigile o per dirla in milanese “un ghisa” ed io gli ho confuso un po’ le idee offrendogli l’immagine di me con una vigilessa.

Pacchetti e pacchettini, panettone e pandoro, torroncini e cioccolatini, caffè e ammazza caffè, getto la spugna: “mamma io per cena non mi fermo, non ce la posso fare”.

Mamma dispiaciuta cerca di dissuadermi: “Gaia fermati dai, ci sono i tortellini per cena, mangi solo quelli e poi vai. Fallo per me, mi fai compagnia”.

Come fai a dire di no ai tortellini della mamma?

Cerco di sedermi con grazia sul divano, nonostante il mio stomaco sia dilatato oltre ogni limite.

Un po’ lontana dalle chiacchiere dei parenti, approfitto di questa pausa per rispondere ai messaggi di auguri e purtroppo ce n’è uno che mi fa tremare, quello di Federica: “Ciao Gaia, come stai? Abbiamo seppellito l’ascia di guerra? Forse possiamo tornare ad avere una comunicazione. Io inizio col farti gli auguri di buon Natale. Un abbraccio e spero a presto, con affetto Fede”.

L’iniziale sensazione di paura lascia il posto a quella di fastidio: “perché mai hai scritto? Cavoli! Non abbiamo nulla da dirci”.

E’ stato faticoso lasciarla e soprattutto uscire dall’ansia che mi aveva causato. Ancora oggi nell’anima, e non solo, porto i segni di quella relazione.

Cancello il suo messaggio e vado oltre.

Consumato il piatto squisito di tortellini, mi congedo da mamma e papà, dal resto dei parenti e da questo Natale che è praticamente finito.

Casa, tisana digestiva e un buon libro sono la combinazione perfetta per arrivare dritta tra le braccia di Morfeo, ma Anita è il mio tormento.

Vorrei scriverle. Vorrei rivederla. Vorrei baciarla. Ho tuttavia una fottuta paura di farmi nuovamente male e poi credo di avere tutte le ragioni del mondo per non cercarla dopo quello che ha detto, ma è una vera tortura questa alternanza tra desiderio e orgoglio.

 

Fine 6° puntata di Piazza Castello